"I belive a leaf of grass is no less than the journey-work of the stars"
Walt Whitman, Song of Myself


lunedì 16 marzo 2015

Grazie a te

non è soltanto un luogo comune, che tutto ciò che è bello finisce sempre troppo presto...
questo finesettimana mi ha raggiunta a torino una carissima amica, e tre giorni di permanenza sono davvero volati. inutile, forse, ripetere che quando ci si diverte il tempo passa troppo in fretta, ma quanto sia vero l'ho provato come poche volte prima d'ora. tra musei, passeggiate e chiacchiere le mattine scorrevano rapide, i pomeriggi si dileguavano, e l'ora di cena arrivava come di soprassalto, inattesa.
ma quello che più ho provato sulla mia pelle, questo per la prima volta, è stato l'inestimabile valore dell'ospitalità. ho finalmente compreso, a ventun'anni, perché si dice che l'ospite è sacro: la verità è che l'ospite porta molto più di quanto gli sia offerto. la gioia, la compagnia, l'affetto che in questi giorni mi hanno circondata (e conquistata) non sono in nulla paragonabili al poco che io ho fatto, mostrando la città e provvedendo ai bisogni elementari. impagabile è il prezzo di tre giorni trascorsi da cima a fondo con un'amica vera, con cui si è in tale sintonia da leggersi nel pensiero senza nemmeno bisogno di terminare le frasi.
ho vissuto immersa in una bolla: mi sembrava di essere in vacanza, e nemmeno torino era più la stessa, ma più nuova, più affascinante (che abbia ritrovato il labirinto??)... e oggi la settimana riprende con la sua tranquilla quotidianità nella grigia pioggia torinese, e la città mi appare persino più vuota, ora che sono di nuovo sola. ma non dispero, perché mi terrà compagnia il ricordo di un breve, prezioso, tempo felice... in attesa che il miracolo si ripeta.
buon lunedì e buon sereno inizio settimana...

lunedì 9 marzo 2015

Ritrovare il labirinto (quando partire è più difficile di quanto ti aspetti).

rieccomi di ritorno a torino. così presto. un anno fa, o anche meno, sarei inorridita al pensiero di pronunciare (o peggio, scrivere) queste parole. e invece eccomi qua, appollaiata sul mio enorme sedile di prima classe, mentre termino il mio solito lungo viaggio da un confine all'altro dell'italia settentrionale. eccomi qua a pensare a quanto non ho voglia di tornare, a quanto darei per spendere ancora qualche ora a casa, circondata dagli affetti, dove anche la semplicità di trovare un piatto caldo già pronto in tavola si fa apprezzare. e invece rabbrividisco al pensiero della stanza vuota che mi attende, dove sarò, infine, sola di nuovo. cosa mi è accaduto? come sono diventata, dalla donna indipendente che ero (o credevo di essere?), la fragile creatura che già sogna il momento in cui di nuovo varcherà la soglia di casa? la domanda è imperativa, a questo punto. e forse la risposta inizia a scorgersi, al di là dello stupore.
sono arrivata a torino un anno fa assetata di novità, di indipendenza, della frenesia di una grande città (sì, so che molti torinesi ribatteranno che torino non è che un grande paese, ma io venivo dalla piccola, graziosa, provinciale udine... ). e il primo anno è andato a gonfie vele, perché ero talmente impegnata a cercare, scoprire, assaporare, da dimenticarmi quasi di avere una famiglia, una casa. talmente entusiasta e ubriaca di gioia da credere che quella fosse la mia vita, finalmente. non avrei permesso a nessuno di insinuare il contrario, e non l'ho fatto. oscar wilde scriveva, nel de profundis, “tutto quello che viene vissuto fino in fondo è giusto”; dunque è stato giusto così, non rinnego né rimpiango nulla. sono stata felice, seppure a momenti alterni, e ne sono grata.
quest'estate qualcosa è cambiato: una frenesia mi percorreva alla partenza il primo settembre, un desiderio di ributtarmi a capofitto nella esuberante quotidianità torinese, di fare di più e meglio dell'anno passato. e così è trascorso il primo semestre, tra il corso di arabo, che mi ha impegnata anima e corpo, e gli altri inesauribili impegni: natale è arrivato molto prima che me ne accorgessi, e che mi preparassi a viverlo. e forse questo ha fatto la differenza: per quasi quattro mesi non mi sono mai fermata, non parliamo poi di essermi ristorata al calore dell'affetto familiare. ero talmente assorbita dal ritmo del quotidiano che non ero più capace di fermarmi. e infatti le feste sono trascorse insipide, e al momento di ripartire mi stavo appena iniziando a sciogliere. così questi due mesi sono trascorsi ancora più insipidi, trascinandomi addosso una stanchezza e un'indolenza che non volevano saperne di lasciarmi in pace. inutilmente ho provato a capire quali altri motivi potessero esserci, ché non ce n'erano. non ero capace di vedere davvero che senza gli affetti tutto è incolore e vuoto, a meno di non saper trovare la giusta dose di impegni e interessi da non pensarci, e dimenticarsi della nostalgia poco dopo averla riconosciuta avvicinarsi beffarda.
così ora affronto forse per la prima volta davvero l'amara verità: la solitudine. e mi spaventa un poco rendermi conto di quanto sia triste, e di quanto sia facile lasciarsi avvolgere dalla seducente prospettiva dell'indolenza, come un morbido e pigro tepore che si illude di assomigliare al calore di casa, ma dall'altro lato mi dico che oltre questo non posso andare. peggio di così le cose non possono stare (spero!). quindi: non possono che andare meglio. è qui che diventa categorica la necessità di reagire, una volta scoperta la falla.
non potrò riempirla ora, perché non è una crepa che si lasci riparare detto fatto, ma posso imparare a conviverci. posso fare del mio meglio, e sforzarmi di ritrovare una spinta più forte della nostalgia, per vivere con entusiasmo anche le mie giornate solitarie. ricordandomi della frenesia dell'anno scorso, e di quel pizzico di follia che forse in fondo mi ha sempre salvata. riconoscendo, infine, anche nelle mura ormai note di torino la città che mi ha ammaliata e assetata di curiosità per l'intero anno passato, che mi spingeva sempre oltre, ancora, mai sazia di scoprirne nuovi scorci...
ritrovando, oltre l'ovvietà del già conosciuto, il labirinto.

[terminato il 7 marzo alle ore 19.38] ... nonostante la prima classe in treno non c'era copertura wifi, e come deliziosa sorpresa di benvenuto il pc ha rifiutato di connettersi a internet per due giorni...

domenica 1 marzo 2015

Lasciare correre

e infine eccomi qui di ritorno a casa, immersa nel divano, mentre tento di trovare un senso a quello che sto facendo.
sono rincasata anticipatamente rispetto al previsto per via di problemi di salute che non accennavano a risolversi, e per ritovare un poco di calma e lucidità tra la fiumana di pensieri e faccende nella quale nuoto nella mia vita solitaria. e sta funzionando: sono già più serena, e anche la salute sta migliorando... eppure c'è ancora qualcosa che mi sfugge. non riesco a fare a meno di pensare che andandomene così all'improvviso ho lasciato in sospeso troppe cose, troppe lezioni, consegne, scadenze... e non mi do pace. 
dovrei soltanto fare un gran respiro e lasciarmi tutto alle spalle per il tempo di una settimana... superfluo dire che è più facile scriverlo che farlo davvero. perché continuo a chiedermi sarà poi giusto essere venuta a casa?, avere abbandonato a torino tutte le faccende, anche urgenti, in sospeso?, ma quello che mi chiedo vermamente è sarà giusto essere scappata? ed è questo senso di colpa, e di fallimento, a non lasciarmi in pace, e a non farmi vivere del tutto serenamente come vorrei queste giornate. 
come al solito, il mio primo nemico sono io stessa, non occorre andare a cercar lontano. e la lotta che si instaura per la suremazia è sempre aperta, e stremante. ma come convincermi davvero di non essere vilmente scappata? perché pensare a quanto avessi bisogno di una pausa soprattutto da alcune "relazioni pericolose" (oh, quanto ne avevo bisogno!), pensare che non sto affrontando una gara ma la mia quotidianità, funziona per lo spazio di un istante: in cui mi do della bambina per considerare una malattia come una sconfitta, e la necessità di una pausa come un fallimento. ma subito dopo penso al mio orgoglio, e alla mia sfacciataggine quando, appena trasferita a torino, pensavo di conquistare il mondo, quasi che non avrei più avuto bisogno di casa. mi ricordo poi dello scorso semestre, quando sono rimasta quasi quattro mesi lontana, ed è andata a meraviglia. e allora la domanda che si impone è cosa è andato storto questa volta? cosa mi è sfuggito di mano? ed è proprio qui il problema. non perché non sappia cosa è andato storto, anzi, ma perché non sono capace di accettare che non posso avere il controllo su tutto. mi illudo di averlo, e proprio mentre mi eleggo dio del mio personale universo gli eventi mi dimostrano quanto non sia vero.
o forse sarebbe vero (che sono il mio personale dio, a parte tutti i vaneggiamenti) se imparassi ad accettare la sconfitta. anzi, se comprendessi l'imprevisto nella quotidianità, e smettessi una buona volta di chiamarlo sconfitta, considerato che non c'è premio né vincitore in questo gioco. sì, forse riuscirò a darmi pace quando imparerò a vivere i momenti di stanchezza senza giudicarmi, con una buona dose di pazienza per compagna. quando sarò capace di ritirarmi dalla frenesia, e lasciarla correre senza di me per un poco. salvo poi riprendere la corsa consueta, con più forza di prima.

buona domenica...

giovedì 22 gennaio 2015

The imitation game: una perla, ogni tanto.

so che non dovrei cedere al pregiudizio e alla generalizzazione, ma è inutile fingere: non riesco ad appassionarmi ai film, li trovo pessimi ultimamente. raramente mi capita di trovarne uno di cui pensare questo è davvero ben fatto, perché immancabilmente almeno la recitazione non mi soddisfa. l'ultimo film che ho davvero apprezzato, se ben ricordo, è stata l'ultima versione di jane eyre con wasikowska e fassbender, uscito nel 2011; benché anche questo, come gli altri meritevoli, scompaia a confronto della miglior cinematografia del secolo scorso.
eppure la sorte mi ha sorpresa, deliziosamente, una quieta sera di inizio gennaio. ero ancora a casa per le vacanze di natale, e una coppia di carissimi amici che non vedevo da troppo tempo mi aveva invitata per una serata al cinema con cena a seguire. arrivati al multisala eravamo indecisi: il ragazzo invisibile o the imitation game? avevo letto un'intervista alla ex moglie di hawking su la teoria del tutto e avevo confuso la pellicola con the imitation game (che, confesso, non sapevo nemmeno fosse uscito); deplorevole svista, lo so. ho suggerito the imitation game perché appunto credevo di saperne già qualcosa, e  giochi si sono aperti: perché era davvero da tanto che non incontravo un film così ben fatto, e un attore talmente capace.
asciutta e brillante biografia del matematico britannico alan turing (geniale decodificatore del sistema di crittazione tedesco durante la seconda guerra mondiale), la pellicola scorre fluidamente attraverso un buon bilanciamento nell'uso del flashback, destreggiandosi tra l'epoca dell'invenzione, durante la guerra appunto, e l'interrogatorio con la polizia di manchester per un furto avvenuto a casa sua, negli anni cinquanta. furto che costò caro a turing: costretto ad ammettere la sua omosessualità (il ladro era un ragazzo che con lui aveva trascorso la notte), fu condannato alla castrazione chimica, e morì suicida dopo due anni. ma ciò che più eleva il film è che questa sezione della biografia, assieme a quelle che avrebbero potuto avere particolare effetto emotivo, sono del tutto assenti. rifuggendo ogni possibile patetismo - e in diversi momenti si intuisce che il rishio è appena dietro l'angolo -, quanto viene proposto è esclusivamente la storia di un'invenzione.
trovo incredibile, in questo momento di "biopic" imperanti, che si sia saputo condurre un'indagine schietta e onesta, priva di scene eccessivamente emotive, che sicuramente avrebbero assicurato successo travolgente (e premi) al film. non che intenda con questo declassare le scene emotive in assoluto, ma le trovo fuori luogo in un film biografico, a meno di non essere davvero necessarie e ben usate: inutili patetismi, ecco tutto.
tra le varie qualità della pellicola mi ha particolarmente colpita la recitazione di cumberbatch, che merita davvero una menzione. raccomandando il film a un'amica, mi sono sorpresa a dire "cumberbatch vale da solo il film", e lo riaffermo. l'attore, non a caso formatosi e attualmente attivo nell'ambiente teatrale, ha dato prova di una incredibile capacità di studio e introspezione del personaggio, soprattutto data la particolarità di quello in questione, e soprattutto per la scarsità di fonti con cui documentarsi. l'immagine che restituisce del matematico è quella di un uomo introverso, puntiglioso, arguto, talvolta arrogante... umano, infine. nulla a che vedere con l'ostinazione, già spesso vista, a voler fare del protagonista un eroe, bensì "semplicemente" il ritratto un uomo, con i suoi pregi e i suoi insopportabili difetti. cumberbatch riesce decisamente "a tutto tondo", con un'interpretazione stupefacente per l'empatia con il personaggio, e una recitazione quieta, eppure talmente intensa.
non fa eccezione il rimanente del cast, che ha creato un'ottima sintonia e un bilanciamento davvero godibile tra le parti. l'unico punto debole, che però non inficia il film, è knightley nel ruolo della preziosa amica, e fidanzata per un periodo, di turing. probabilmente non è un giudizio molto condiviso, ma non mi piace affatto la sua recitazione, e trovo che questa volta non abbia fatto eccezione. certo, dà una prova discreta - tralasciando che mantiene in pressoché tutti i film la stessa gamma di espressioni -, ma lavorando assieme a cumberbatch perde inesorabilmente in partenza. ciononostante, come già detto, questo non compromette la riuscita del film.
la serata si è quindi conclusa nel migliore dei modi, e ho ringraziato mille volte la mia gracile memoria per avermi fatto scoprire (è il caso di dirlo) questa perla, dopo tanto tempo.
la narrazione di una mente geniale, condotta con una leggerezza inaspettata: un autentico piacere per gli occhi.

martedì 13 gennaio 2015

Un poco di equilibrio

domenica la francia ha marciato su parigi, e io sono rimasta a guardare.
ho seguito, incredula, la cronaca (quasi) in tempo reale della mobilitazione senza precedenti, e un senso di orgoglio per essere europea, oltre che di ammirazione infinita per la popolazione francese e la sua civilissima reazione, mi ha pervasa. eppure non ho potuto evitare di sentirmi tremendamente impotente, perché la verità, inutile nasconderlo, è che di fronte all'avanzare di questa ondata terroristica noi cittadini non possiamo, concretamente, pressoché nulla.
certo, possiamo, e dobbiamo, evitare di cadere nella facile trappola del razzismo e della paura (imperativo che sento particolarmente urgente, come studiosa di cultura arabo-islamica, in primis, e come cittadina italiana ed europea), ma non siamo in grado di sventare o combattere gli attacchi reali, che ammazzano disegnatori innocenti e innocenti cittadini.
e allora diventa inevitabile, dal mio piccolo angolo di cielo qui a torino, provare una inarrestabile sensazione di impotenza, acuita dall'ansia che naturalmente eventi di tale portata provocano. il punto è: fino a martedì le mie uniche preoccupazioni erano gli esami e la routine, mentre da mercoledì, e soprattutto da domenica, un problema ben più grande, e contingente, è subentrato. qualcuno l'ha già definita guerra, di certo mi chiedo quali cambiamenti tutto questo porterà nelle nostre vite. e io, prima di tutto, verrò biasimata perché studio arabo, in questo già intollerante clima italiano? arriverò al punto di dover difendere a gomitate la mia scelta di studio, il mio amore per la lingua araba e la sua cultura? e quindi, più che quali, ché già ne posso scorgere, dove saranno le mie prospettive per il futuro?
mentre tutte queste domande si impongono alla considerazione, e reclamano di essere ascoltate con urgenza, come dimenticare dall'altro lato la lavatrice da stendere, il capitolo da finire di studiare entro la notte, la spesa da fare? mi chiedo allora, al di sopra di tutto, dove sta il giusto punto di bilanciamento? quanto occuparmi delle mie faccende quotidiane, dimenticando per un attimo la strage, e l'imminenza di un cambiamento in europa, per non sentirmi accusata dalla coscienza come simile allo struzzo che nasconde il capo nella sabbia? viceversa: quanto sono tenuta a pensare concretamente a tutto questo, per non trovarmi incapace di gestire i problemi quotidiani pur in una crisi? cosa devo ritenere più quotidiano: il frigorifero vuoto, o l'europa sotto scacco, cosa che compromette parimenti il mio futuro, anche se non nelle immediate ventiquattr'ore?
ci vuole solo un poco di equilibrio, è naturale. come in ogni faccenda umana, come ci insegnarono già gli antichi: basta saper guardare, e trovare dove l'ago della bilancia segni il giusto mezzo. non già che esserlo, nemmeno pare facile... e fino a quel momento le domande restano. come suggerirebbe rilke, l'importante è viverle.

ah, quasi dimanticavo: JE SUIS CHARLIE, naturalmente.

venerdì 9 gennaio 2015

Sostare uccide

un'altra giornata è trascorsa al confine occidentale, come amo ripetermi. e sto sperimentando ancora una volta, ahimè, la forza dell'inerzia. 
mi torna in mente ora di quando sono arrivata a torino in autunno: sono scesa a porta nuova il primo di settembre, con il sole negli occhi e il mio bravo bagaglio di buoni propositi per l'anno (accademico) nuovo. e... mi sono dovuta ricredere. nulla di tragico, ma ho dovuto ricalibrare energie e obiettivi. nonostante la sessione esami, le ore libere restavano tante, troppe. man mano che, un poco sconsolata, guardavo la mia voglia di attività scemare, e la solitudine aumentare, complice la città ancora immersa nella fiacca bolla di sogno estivo, si faceva strada in me la strisciante e inafferrabile sensazione di non aver molto da fare qui. la domanda in fondo, cosa faccio a torino? ha risuonato non una volta, mentre percorrevo lenta le sponde afose e umide del po.
ho rimpianto poi quelle beate calure estive tre le nebbie di novembre, quando le lezioni occupavano l'intero arco della giornata, e non era concessa sosta dalla febbrile attività intrasemestrale. ricordo di aver pensato ridatemele indietro, quelle benedette ore, saprei ben adesso che farmene!
ma, come è risaputo, noi uomini non siamo noti per apprendere rapidamente dall'esperienza... e quindi eccomi qua, dopo due mesi, daccapo. troppe ore libere, nonostante lo studio (che pericolosamente assomiglia sempre più al noto "matto e disperatissimo"), nonostante i libri da leggere e le cose da fare. perché quello che mi manca, me ne avvedo ora, è proprio l'attività febbrile da cui vorrei una tregua quando ci sono immersa. e già so che di qui a un mese rimpiangerò questi giorni dal ritmo lento, scanditi solo dallo studio, eppure adesso non posso fare a meno di desiderare quello che non ho. 
le giornate piene, in cui arriverò a sera stanca e non vedendo l'ora di dormire, mi daranno in compenso energia da vendere. è sempre così: quando devo fare dieci cose in un giorno ne farei altre mille non avendone il tempo, ma quando ne ho una sola in lista, allora posso star certa che la tirerò in lungo finché non ne sarò stufa. tralasciando la fiacchezza che mi piomberà addosso, e l'immancabile senso di colpa per essermi lasciata prendere dalla fiacchezza. ma tant'è, non credo imparerò mai, e forse in fondo mi diverte tutto questo sbilanciamento, ho sempre qualcosa da desiderare.
quindi ora adrò a coricarmi, dopo una interminabile giornata di studio, e un'altra che mi attende alle porte. stando attenta a riservarmi qualche impegno pratico da sbrigare, perché non vorrei restare inattiva troppo a lungo: l'inerzia è letale...

giovedì 8 gennaio 2015

Ritorno

trovo che il treno sia il miglior modo di viaggiare esistente. o forse dico così perché ne sono profondamente dipendente, e se potessi lo userei per arrivare fino in capo al mondo: ho viaggiato per sette ore oggi per tornare a torino, e ricomincerei daccapo. 
stranamente, quello che ho goduto di più non è stato la deliziosa serenità del limbo (non essere in partenza ma nemmeno ancora a destinazione, la meravigliosa terra in cui non appartengo a nessuno), cui di solito non vedo l'ora di abbandonarmi, ma la gioia di un incontro. una signora romana, trevigiana di adozione, in viaggio da mestre verso torino: quanto sanno essere sorprendenti, e magnifiche, le coincidenze a volte! 
salendo in carrozza l'ho aiutata a sistemare il bagaglio, e prima di scendere a milano è venuta a salutarmi. suo marito era friulano, come me, lei sta andando a trovare la figlia. strana ed euforica sensazione, quella di essere talmente a proprio agio con uno straniero... tra una chiacchiera e l'altra (quanto sia bella torino, quanto le dispiaccia che roma sia divenuta una caotica metropoli) ho pensato solo che ero felice di parlare con quella donna, e grata che per combinazione le nostre vite si fossero incrociate. la sua espressione, la voce, provavano che era contenta davvero di scambiare qualche parola con me, che non era venuta per mero "dovere" di ringraziamento, e questo mi ha riempito il cuore. sarò all'antica, non m'importa, ma trovo poche cose più balsamiche per l'animo di un incontro gioioso, sincero, e autentico, come quasi ci scordiamo che avvengano ancora.
questa sera la malinconia della fine delle feste, del ritorno alla vita solitaria e lontana dagli affetti, non avrà la meglio. ringrazio la infinità di coincidenze che ha permesso oggi un evento talmente inatteso, e appagante, e mi crogiolo ancora un poco nella allegrezza che una donna sconosciuta ha saputo da sola mettermi indosso.
buonanotte...